venerdì, luglio 11, 2008

Il 10 luglio al Workshop di Feuerstein

La voglia di integrarsi e gli strumenti per farlo




L'intervento di Jael kopciowski





Rav Rafi Feuerstein all'apertura della giornata di studio - 10 luglio 2008





Questa giornata ha un grande valore per me in quanto, in qualche maniera, riassume oltre trent’anni di attività in ambito educativo.
Vedo la mia esperienza di insegnante, di psicopedagogista, di psicologa, di giudice onorario, di trainer Feuerstein e, perché no, di mamma di tre splendidi ragazzi che sono stati tre splendidi bambini con cui amavo (ed amo ancora) giocare, parlare, leggere, andare in gita, arrampicarmi, nuotare, ….. discutere e litigare.
Ritrovo negli interventi che verranno presentati tutti i momenti della mia vita rivisti attraverso il concetto di Mediazione che Feuerstein mi ha insegnato e che tanto ha inciso sul mio modo di essere, prima ancora che sul mio modo di pormi agli altri.

Verso la piena integrazione di ragazzi con particolari esigenze educative.

Il folto pubblico in attento ascolto











Persone con particolari esigenze educative hanno riempito, e riempiono tutt’ora, la mia vita.
Perché tutti siamo persone con esigenze educative particolari.
Chi può dire, guardando in se stesso, di non aver affrontato momenti difficili in cui il contatto umano di una persona empatica, non gli sia stato di utile supporto?
Ci si sente più solidi se si sa di poter contare su persone che lavorino con intenzionalità e reciprocità rispettando non tanto quello che si è oggi, ma soprattutto quello che si potrà diventare domani, crescendo in competenza e conoscenze.
Che operino con la capacità di andar oltre all’immediato per creare ponti verso il passato e verso il futuro, verso il vicino e verso il lontano, verso ciò che è evidentemente collegato e, soprattutto, verso ciò che apparentemente non presenta nessuna possibilità di collegamento.
Persone che, pur se competenti ed abili, non ti trasmettano la sensazione della loro superiorità facendoti sentire loro inferiori e pertanto inadeguati, ma che partecipino la loro competenza apprezzando la tua e facendoti sentire capace ed utile.
Che apprezzino la tua individualità perché sei una persona preziosa, utile alla creazione di una più ampia e ricca personalità del gruppo cui appartieni, che questo gruppo sia la famiglia, la classe, il centro sportivo, ricreativo o riabilitativo, o l’intera umanità.
Persone che sappiano dare se stessi perché credono profondamente nel significato di ciò che fanno, e che sanno trasmettere questa gioia di fare condividendo progetti ed emozioni, lavoro concreto e sogni impalpabili, fatiche, delusioni, gioie e speranze.
Che abbiano una profonda fiducia nelle risorse umane, nella plasticità della mente, nelle potenzialità della persona. Perché l’essere umano è modificabile in positivo quando le esperienze che vive sono positive.
In sintesi, persone che vivano i criteri della mediazione.

La voglia di integrarsi e gli strumenti per farlo…
…. un interrogativo che ci si pone spesso è se, per affrontare un impegno, qualunque sia la natura di questo impegno, deve venire prima la motivazione, cioè quella spinta interiore che nasce dal desiderio di ottenere qualche cosa, o prima deve esserci il possesso degli strumenti necessari per affrontare quel determinato impegno.
Sembra una domanda oziosa: è lapalissiano che la motivazione viene prima.
E’ vero, ma fino ad un certo punto.
Se ritengo assolutamente irraggiungibile un obiettivo, se penso con tutto me stesso che una determinata cosa non sarà mai alla mia portata, la motivazione a raggiungerla non può aprirsi neanche uno spiraglio nella mia mente.
Noi, con noi stessi, viviamo 24 ore al giorno ed in nessun momento ci è permesso di prenderci la “libertà” di evadere. Ciò porta a costruire dei meccanismi di difesa che ci facilitano la convivenza con noi stessi. Se un obiettivo è vissuto come irraggiungibile, è possibile che la nostra mente lo collochi in un limbo di indifferenza o rifiuto, per non vivere con doloroso senso di inadeguatezza il confronto tra “voglio” e “non posso, non so, non sono capace”.
A volte la sfiducia nelle proprie capacità è tale che uno, per non fronteggiare continuamente il penoso disagio del fallimento, non ha il coraggio di fare nulla di diverso da ciò che sa già fare; cercando la sicurezza nella ripetitività, anche se questo si trasforma in una grigia monotonia deprimente, avvilente e frenante.

Se, al contrario, ho la sensazione che mi sia possibile costruire pian pianino la competenza necessaria utile ad avvicinarmi a quell’obiettivo, ecco che forse il coraggio per sperare di raggiungerlo potrà farsi strada dentro di me.

Si ci pensiamo bene, quindi, è difficile valutare se viene prima la motivazione al raggiungimento di un obiettivo o la consapevolezza di possedere la capacità di costruirsi gli strumenti per raggiungerlo.
E per capacità di raggiungerlo intendo la modificabilità stessa, intendo la forza del cambiamento, l’energia necessaria a muovere il primo passo in direzione della meta.
Anche per raggiungere la vetta dell’Himalaya bisogna prima imparare a camminare.

La fiducia nelle risorse umane è il filo conduttore di tutti gli interventi della giornata.

La fiducia è alla base di una positiva relazione interpersonale:


Operatori


FIDUCIA


Genitori Ragazzi



Fiducia dei ragazzi nei confronti degli operatori e viceversa.




Ma anche fiducia nella propria possibilità di “farcela”, rinforzando autostima, concetto di sé, senso di competenza, (del soggetto ad affrontare le attività che gli vengono proposte ed a gestire le relazioni interpersonali, ma anche dell’operatore affinché si senta in grado di individuare obiettivi adeguati e di raggiungerli, senza vivere con senso di inadeguatezza e malessere le responsabilità che si sente sulle spalle).
Fiducia reciproca dei genitori nei propri figli, ma anche nei professionisti di riferimento per evitare possibili ambiguità derivate da contrapposizioni tra la componente famigliare e quella professionale.
Fiducia all’interno del team di operatori: cooperazione tra colleghi, relazione chiara e corretta con i coordinatori, collaborazione con i servizi sociali e con le famiglie.

Io sono in grado: fiducia nelle proprie risorse, senso di competenza, rinforzo della personalità
Tu sei in grado: trasmissione di forza e sicurezza che permette di trovare la fiducia in sé stessi. Senso di condivisione

Inseriti in un contesto di reciproca apertura.

Elementi utili per la predisposizione di un ambiente attivo e positivo nella progettazione del percorso educativo:







  • obiettivi condivisi, compresi e credibili.



  • progettazione del percorso da seguire per raggiungere tali obiettivi, evidenziandone anche i possibili punti critici per non essere presi alla sprovvista e correre il rischio di viverli come fallimento.



  • condivisione dei significati personali e sociali dell'attività che si svolge,
    ricaduta culturale e professionale che fa da substrato ai diversi percorsi educativi.

    Si lavora sia sul piano relazionale, sia su quello cognitivo.
    Per creare fiducia nelle proprie risorse ed un conseguente senso di “benessere” emozionale, è necessario essere consapevoli di possedere strumenti cognitivi adeguati alla lettura del contesto ed all’individuazione dei punti critici, nonché di strategie utili ad affrontarli ed a superarli.

    Feuerstein ha sempre avuto una fiducia enorme nella modificabilità umana, oggi ne abbiamo le prove scientifiche.

    L’uomo si pone in cima all’albero evolutivo: un essere superiore in possesso di qualità e caratteristiche che lo distinguono da tutti gli altri esseri viventi.
    Eppure, se ci pensiamo bene, siamo le creature che mettono al mondo la prole più inabile che esista.






  • I “cuccioli” dell’uomo sono completamente dipendenti dall’adulto e vanno incontro a morte certa per un lunghissimo periodo, se non sono accuditi in modo adeguato.




In che cosa consiste, all’atto pratico, la differenza tra l’essere umano e gli altri animali? Nella ricerca di quali siano gli elementi distintivi si trovano tanti di quei tratti che è difficile riuscire a decidere quale sia il più significativo. Molti pensano che la caratteristica più importante sia il linguaggio senza il quale nessuna delle conquiste umane sarebbe stata possibile. Ma tutti gli animali superiori emettono dei suoni che spesso permettono loro di inviare segnali significativi. Altri ritengono che la vera differenza sia la posizione eretta che ha lasciato liberi gli arti anteriori, e che l’uso sofisticato che facciamo delle mani sia l’elemento determinante nel nostro successo biologico.
Ma anche in questo caso si può osservare che altri animali utilizzano, anche se non in modo esclusivo, gli arti inferiori per muoversi e quelli superiori per “manipolare”. Lo scoiattolo, per esempio, utilizza le dita con molta precisione e abilità. L’orso spesso deambula utilizzando solo gli arti inferiori.
È corretto o è una mera presunzione ritenere che l’uomo sia l’essere più evoluto?
Facciamo un paragone tra il cervello di un neonato umano e quello di un neonato di scimpanzé. Il loro peso è molto simile: circa 300 grammi (cfr. Feldenkrais, 1996b). Ma il cervello dello scimpanzé appena nato pesa quasi come quello dell’adulto, mentre quello del bambino è appena un quinto del suo peso definitivo.
Più il peso del cervello alla nascita è prossimo a quello dell’animale adulto, più la capacità di funzionare alla nascita è vicina al modo di funzionare dell’animale adulto.
Così, chi nasce con un cervello quasi completo si affaccia alla vita con reazioni preconfezionate agli stimoli esterni e alla maggior parte degli stimoli che probabilmente incontrerà nella vita. Il suo comportamento è di tipo riflesso, fatto di reazioni che, essendo ereditate, sono adatte per stimoli che erano comuni a tutte le precedenti generazioni. Se l’ambiente dovesse cambiare troppo bruscamente, queste stesse reazioni riflesse, così come in passato sono state utili alla specie, potrebbero diventare la sua condanna.



È questa la sostanziale differenza: il sistema nervoso umano cresce mentre gli stimoli esterni continuano a raggiungerlo e ad agire su di esso, perciò l’ambiente ha sull’uomo un’influenza determinante.


Riprendiamo, per esempio, il paragone tra il linguaggio umano e la comunicazione tra animali: i suoni da loro emessi sono praticamente gli stessi nell’ambito della stessa specie, tranne rare e modeste eccezioni, sia che crescano isolati sia che vivano in gruppo, sia che si trovino in una zona del mondo sia che si trovino a migliaia di chilometri di distanza. In altre parole la mucca italiana muggisce nella stessa maniera di quella austriaca o argentina. Gli animali ereditano non solo muscoli e strutture neuronali, ma anche gli schemi di collegamento. Nell’uomo, invece, le corde vocali e le interconnessioni nervose non sono legate a un particolare schema: i bambini alla nascita sono predisposti a emettere tutti i suoni che il linguaggio umano propone (il “th” inglese, la “r” moscia francese, i suoni gutturali delle lingue semitiche, e via dicendo), ma mantengono solo quelli che esercitano attraverso l’apprendimento dello specifico codice comunicativo della cultura cui appartengono. Un bambino allevato in isolamento non imparerebbe a parlare pur avendo la struttura cerebrale di base per farlo.
La storia individuale fatta di esperienze vissute in prima persona, incide sulle capacità di un soggetto potenziandone le caratteristiche ereditate e riuscendo a ridurre o addirittura annullare, problemi di base. Come dice Feuerstein: gli aspetti genetici non hanno l’ultima parola!



L’uomo è predisposto per apprendere, per modificarsi, per acquisire competenze nuove e complesse, frutto della sua interazione con il mondo.


Ciò che uno fa, soprattutto nei primi anni di vita, non solo permette l’acquisizione di competenze specifiche nuove, ma incide in modo determinante sulla struttura stessa del cervello: l’azione crea l’organo. Fino a poco tempo fa si riteneva che la neurogenesi si interrompesse nei primi anni di vita. Oggi sappiamo che continua per tutta la vita, anche se non così energicamente come all’inizio, e che è proprio l’attività mentale ad incidere in maniera determinante sull’intensità della produzione neuronale (cfr. Damasio, 2003).

Non voglio anticiparvi quello che sentirete, ma le diverse realtà affrontate si intrecciano, per cui parliamo di minorazione visiva ma contemporaneamente di adozione, ma anche di adozione e di handicap, parliamo di sport e consapevolezza corporea ma insieme di ritardi cognitivi e e di minorazione visiva.
Il termine integrazione viene utilizzato in tutti i suoi sensi:


integrazione come inserimento perché ci si sente parte di un contesto;


integrazione come compimento: essere “integri” completi, sani;


integrazione come interazione tra più elementi:


integrazione sensoriale quando si utilizzano i diversi sensi per giungere ad una piena conoscenza dell’ambiente.


Molte degli interventi sono tenuti da membri dell’associazione Una chiave per la mente, che giungerà presto al suo secondo compleanno e non a caso il nome dell’associazione, nonché quello del Centro Autorizzato che l’ha preceduta ed a cui fa riferimento, ha come completamento del nome: Istituto per lo Sviluppo e l’Integrazione.

Sento profondamente il bisogno di ringraziare le tantissime persone che hanno contribuito alla preparazione di questa giornata, sia quelle che parleranno da questo tavolo, sia chi ha preparato pannelli con il prezioso materiale frutto del loro lavoro

Un ringraziamento speciale a Reuven Feuerstein che sa trasmettere energia, fiducia, competenza, a tutti coloro che hanno la fortuna di avvicinarsi a lui, ed a tutto il suo staff che ammiro ed ho l’onore di considerare un caloroso gruppo di amici.

Ma ringrazio soprattutto le centinaia di bambini con cui ho lavorato, le centinaia di persone che hanno seguito i miei corsi perché, come dicono le massime dei padri:


Tanto ho imparato dai miei insegnanti
Tantissimo dai miei colleghi,
Ma ancor di più dai miei studenti.