Difficoltà specifiche di apprendimento: affrontare la disgrafia con Feuerstein,
Paola Pini
Jael Kopciowski
In apertura, Jael Kopciowski, ha presentato la figura di Reuven Feuerstein sottolineando l’aspetto della modificabilità cognitiva, che non è il semplice riflesso a stimoli esterni o una risposta a cambiamenti interni, come la crescita: è soprattutto il risultato di una serie di atti volontari e consapevoli che possono, e in alcuni casi devono, essere guidati da una persona esterna.
E l’importanza dell’autostima nei soggetti colpiti da disturbi specifici di apprendimento è stato il punto centrale della relazione presentata da Paola Pini nel corso della conferenza. Questo è infatti l’elemento comune di chi soffre di questi problemi, ma anche di chi non riesce ad esprimere al meglio le proprie potenzialità.
Oltre ad un intervento precoce di rieducazione o di riabilitazione, il riconoscere quanto prima il bambino colpito dislessia, disgrafia, disortografia o discalculia, permette di evitare che il non sentirsi riconosciuto nelle proprie difficoltà, spesso erroneamente percepite come indici di svogliatezza, provochi, come sempre accade, una opinione negativa di sé e delle proprie reali capacità, che si esprimeranno attraverso un comportamento autolimitante. Ciò non potrà che aumentare la mancanza di autostima.
Dalle domande che i presenti hanno fatto è emerso che spesso, anche chi conosce l’argomento o lo affronta quotidianamente nel proprio ruolo di educatore, non sa che ci sono figure professionali che possono dare delle risposte pratiche e reali per affrontare e risolvere questo problema.
Il metodo proposto da Reuven Feuerstein serve a questo. Convinto che ogni individuo sia modificabile nelle proprie capacità di apprendimento, ha costruito degli strumenti che permettono a chi li utilizza di rendersi consapevole che questo è realmente possibile. È il rapporto diretto con il mediatore, l’educatore formato per applicare il metodo, che però fa la differenza riuscendo, attraverso le attività proposte, a far emergere le potenzialità presenti nel bambino, che riesce così di riappropriarsi della fiducia in se stesso.
Ed è proprio questa la chiave: non si può agire considerando esclusivamente la difficoltà “specifica”, e operare soltanto su questa, ma si dovrà saper gestire anche il lato emotivo, alla base dell’autostima.
In apertura, Jael Kopciowski, ha presentato la figura di Reuven Feuerstein sottolineando l’aspetto della modificabilità cognitiva, che non è il semplice riflesso a stimoli esterni o una risposta a cambiamenti interni, come la crescita: è soprattutto il risultato di una serie di atti volontari e consapevoli che possono, e in alcuni casi devono, essere guidati da una persona esterna.
E l’importanza dell’autostima nei soggetti colpiti da disturbi specifici di apprendimento è stato il punto centrale della relazione presentata da Paola Pini nel corso della conferenza. Questo è infatti l’elemento comune di chi soffre di questi problemi, ma anche di chi non riesce ad esprimere al meglio le proprie potenzialità.
Oltre ad un intervento precoce di rieducazione o di riabilitazione, il riconoscere quanto prima il bambino colpito dislessia, disgrafia, disortografia o discalculia, permette di evitare che il non sentirsi riconosciuto nelle proprie difficoltà, spesso erroneamente percepite come indici di svogliatezza, provochi, come sempre accade, una opinione negativa di sé e delle proprie reali capacità, che si esprimeranno attraverso un comportamento autolimitante. Ciò non potrà che aumentare la mancanza di autostima.
Dalle domande che i presenti hanno fatto è emerso che spesso, anche chi conosce l’argomento o lo affronta quotidianamente nel proprio ruolo di educatore, non sa che ci sono figure professionali che possono dare delle risposte pratiche e reali per affrontare e risolvere questo problema.
Il metodo proposto da Reuven Feuerstein serve a questo. Convinto che ogni individuo sia modificabile nelle proprie capacità di apprendimento, ha costruito degli strumenti che permettono a chi li utilizza di rendersi consapevole che questo è realmente possibile. È il rapporto diretto con il mediatore, l’educatore formato per applicare il metodo, che però fa la differenza riuscendo, attraverso le attività proposte, a far emergere le potenzialità presenti nel bambino, che riesce così di riappropriarsi della fiducia in se stesso.
Ed è proprio questa la chiave: non si può agire considerando esclusivamente la difficoltà “specifica”, e operare soltanto su questa, ma si dovrà saper gestire anche il lato emotivo, alla base dell’autostima.
Solo così si supereranno le inevitabili difficoltà che tale compito richiede.
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