mercoledì, luglio 16, 2008

SPORT E MOVIMENTO: percorso attivo per una dinamica integrazione


Valentina Mariola e Luciana Sardo




Parlare di handicap e sport non è semplice a causa delle poche conoscenze che abbiamo di questo ambito e al grosso rischio che si corre nel cadere in luoghi comuni e facili ipocrisie.
Il momento sportivo, caratterizzato dall’attività motoria organizzata, regolamentata, dove possono esistere anche agonismo e competizione, non deve rappresentare soltanto un momento di riscatto, di terapia, di affermazione o di “uguaglianza”. Vuole essere ciò che rappresenta l’attività sportiva per ogni persona che sceglie di esserne praticante: un mezzo di crescita e di miglioramento e/o mantenimento della propria qualità di vita.
La conoscenza delle minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali, le conseguenti possibili disabilità e situazioni di handicap che possono determinare, vanno conosciute e studiate, ma non devono diventare criterio esclusivo di studio e lavoro, poiché si rischia di perdere di vista il vero fulcro del nostro interesse: la persona.
La formazione di ogni educatore, sia esso insegnante, istruttore, allenatore, genitore,…, passa attraverso l’acquisizione di conoscenze, lo sviluppo di capacità e la maturazione delle esperienze; avere competenze significa conoscere la materia, essere capaci di proporla e di poterla adattare alle situazioni in maniera flessibile. E lavorare con i disabili vuol dire adattare i programmi di intervento in base alle nostre conoscenze ottenute sui normodotati.
L’attività fisica diventa quindi strumento educativo ed “il suo compito principale è soprattutto quello di formare l’uomo, o piuttosto guidare lo sviluppo dinamico per mezzo del quale l’uomo forma se stesso ad essere uomo.”
Quindi lo sport sia come mezzo che come fine.

Per parlare in termini corretti si riprendono le definizioni tratte da “La classificazione delle menomazioni, delle disabilità e degli handicaps” pubblicato dall’OMS (organizzazione mondiale sanità) nel 1980:
MENOMAZIONE: qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica;
DISABILITA’: qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) della capacità di compiere un’attività nel suo modo o nell’ampiezza considerati normali per un esser umano;
HANDICAP:è la condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione o ad una disabilità che in un certo soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale per tale soggetto in relazione all’età, sesso e fattori socio-culturali.
L’handicap è quindi un fenomeno sociale; esso rappresenta le conseguenze sociali ed ambientali che si riflettono sull’individuo a causa della presenza di menomazioni e/o minorazioni disabilità.
Superare le situazioni di handicap non significa quindi vivere ed operare nonostante le disabilità, le minorazioni o le menomazioni, ma farlo attraverso di esse.

La disabilità si colloca tra un livello zero di prestazione (inabilità) e un livello massimo di prestazione (abilità).
All’atto pratico siamo tutti disabili o siamo tutti normali in quanto NON PADRONEGGIAMO ALLA PERFEZIONE (livello massimo di prestazione) la maggior parte delle nostre attività. Ed è proprio questo il bello della vita: avere sempre qualche cosa di nuovo da imparare.

Per quanto riguarda l’educatore/allenatore valgono più che mai i criteri della mediazione che gli permettono di agire in maniera sempre positiva e dinamica.
Ovviamente ci sono alcuni criteri che verranno sviluppati per primi per creare dei presupposti forti e positivi all’avviamento del lavoro:
- intenzionalità e reciprocità;
- senso di competenza;
- individualità e differenziazione psicologica;
- coscienza della modificabilità;
- individuazione dell’alternativa ottimista.
In un secondo momento potranno e dovranno intervenire quei criteri che rafforzano l’attività:
significato;
- regole di comportamento;
- ricerca, scelta, conseguimento scopi;
- senso di sfida verso se e verso gli altri.
E alla fine dovranno intervenire quei principi che permettetono portare gli insegnamenti al di la dell’attività fisica:
- trascendenza;
- senso di condivisione;
- senso di appartenenza.

Quindi pensando alla sport come mezzo e fine di miglioramento della persona nella sua interezza e ai principi della mediazione come strumenti, si può creare un ottimo metodo per lavorare con i disabili, al fine di migliorare l’ autostima, il fisico e dare un’opportunità in più di integrazione a livello sociale .



Attività di canottaggio adattato con Aleandro e Corrado

Aleandro e Corrado sono due adulti entrambi con una disabilità visiva: Aleandro è ipovedente con un campo visivo ristretto ad un solo punto in un occhio ed una leggera sordità; Corrado è non vedente.
Entrambi i ragazzi sono molto sportivi ed hanno una buona confidenza con il mare grazie ad approcci precedenti con la canoa, la barca a vela e l’immersione subacquea.
Si sono avvicinati a questo sport grazie ad una conferenza organizzata da “Una chiave per la mente” proprio su sport e handicap, e poco dopo quell’occasione hanno contattato Luciana per intraprendere questa avventura.
Il canottaggio come sport non è assolutamente proibitivo per le persone con disabilità visiva, e molto spesso negli allenamenti dei normodotati si usa far remare gli atleti con gli occhi chiusi per migliorare la sensibilità del movimento in relazione allo scorrimento della barca. La parte “difficile” di questo tipo di lavoro è come prima cosa spiegare a parole un movimento che molto spesso viene insegnato attraverso la dimostrazione pratica, e come seconda far muovere assieme sulla stessa barca due persone, che sono sì molto sensibili e naturalmente portate per l’attività fisica, ma essendo ancora all’inizio dell’apprendimento di un nuovo gesto tecnico per niente facile e naturale portano ovviamente prima l’attenzione su di sé, sul proprio remo, sul proprio movimento e solo dopo prendono coscienza di essere in un equipaggio e riescono a fare sempre tutta la remata assieme (in realtà come avviene con qualsiasi canottiere principiante!).
Il lavoro con loro è iniziato dal remoergometro, un simulatore di voga comunemente usato negli allenamenti dei canottieri, che permettere di apprendere velocemente il gesto tecnico della vogata in tutta la sicurezza e la tranquillità della terra ferma. A differenza della barca il remoergometro ha un bastone collegato ad una catena che fa girare una ruota e per cui con qualche piccola differenza nel movimento.
Il secondo passaggio è stata la vasca voga: come dice il nome, è una vasca in cui è stato costruito una spazio simile a quello di una barca e dove è possibile sperimentare la remata più simile ad una barca utilizzando dei remi con pale vuote (che creano meno attrito) ma anche piene.
Già dopo il terzo incontro abbiamo pensato che fossero pronti per essere portati in barca. Così abbiamo preso una jole a 4 vogatori con il timoniere (tipica imbarcazione da mare, molto larga e sicura sulle onde, con un remo per ciascun vogatore) e con l’aiuto di una persona che ci teneva da terra con una corda molto lunga abbiamo cominciato questa bella esperienza. Poi le uscite si sono susseguite in maniera sempre più libera, e abbiamo cominciato ad utilizzare anche il doppio canoino (sempre barca da mare a due vogatori con due remi ciascuno).
Bisogna sottolineare che per uscire con la barca non è così immediato: intanto bisogna portare fuori la barca dalla sala barca, zona in cui sono sistemate tutte le imbarcazioni del circolo e percui con varie parti sporgenti a diverse altezze; dalla stessa sala barche bisogna portare fuori i remi, che per una barca come la jole sono lunghi più di tre metri; una volta che barca e remi sono sul piazzale bisogna mettere la barca in acqua, armarla con remi e timone e poi entrarci con agilità e disinvoltura, e a volte con delle condizioni marine non proprio ottimali. Al rientro della barca ovviamente bisogna fare il percorso inverso.
Durante le prime uscite eravamo noi ad occuparci della barca e dei remi, ed accompagnavamo i due ragazzi sul pontile (al quale si accede scendendo 5 gradini); dopo già un paio di uscite Corrado e Aleandro collaborano in qualche modo a tutte queste operazioni, ed è Aleandro che guida lentamente Corrado nella discesa al pontile.
Fin da subito ci siamo rese conto della grande disponibilità dei due ragazzi e della grande voglia di fare e imparare. Entrambi scherzano sulla loro disabilità e come si diceva prima loro vivono e agiscono attraverso di essa. Il movimento gli riesce abbastanza facilmente e sono curiosi e attenti nell’apprendimento. Assieme cerchiamo strategie per migliorare la tecnica di voga e il modo di chiarire le nostre spiegazioni con esempi sonori o tattili.
In questo percorso breve per il momento ma molto intenso abbiamo già adottato vari principi della mediazione come: intenzionalità e reciprocità; individualità e differenziazione psicologica; coscienza della modificabilità; senso di competenza; individuazione dell’alternativa ottimista. Bisogna dire che la maggior parte di questi principi sono frutto spontaneo dell’ottimo rapporto interpersonale che si è creato con Aleandro e Corrado.
Passata questa prima fase penso che il lavoro continuerà cercando di proseguire soprattutto sui principi del significato, della ricerca, scelta, conseguimento scopi, e del senso di appartenenza.
Per quanto riguarda quest’ultimo principio è un senso di appartenenza bidirezionale, nel senso che il nostro lavoro deve far sì che Aleandro e Corrado si sentano parte di questo mondo sportivo e sociale che è il Circolo che ci ospita, ma molta parte del lavoro deve venir fatto anche sui soci e frequentanti del Circolo che mano a mano devo tutti accettare questi due ragazzi ma anche quelli che potrebbero venire in futuro come parte attiva di questa realtà.
Ringraziamo vivamente tutti quelli che ci hanno supportato in questo periodo e che ha reso possibile dar vita a questo tipo di esperienza.