mercoledì, gennaio 27, 2010

Apprendere, ovvero acquisire risposte nuove agli stimoli

L’uomo si pone in cima all’albero evolutivo: un essere superiore in possesso di qualità e caratteristiche che lo distinguono da tutti gli altri esseri viventi.
Eppure, se ci pensiamo bene, siamo le creature che mettono al mondo la prole più inabile che esista. I “cuccioli” dell’uomo sono completamente dipendenti dall’adulto e vanno in contro a morte certa per un lunghissimo periodo, se non sono accuditi in modo adeguato.
In che cosa consiste, all’atto pratico, la differenza tra l’essere umano e gli altri animali?
Nella ricerca di quali siano gli elementi distintivi si trovano tanti di quei tratti che è difficile riuscire a decidere quale sia il più significativo. Molti pensano che la caratteristica più importante sia il linguaggio senza il quale nessuna delle conquiste umane sarebbe stata possibile. Ma tutti gli animali superiori emettono dei suoni, praticamente gli stessi, tranne rare e modeste eccezioni, sia che crescano isolati sia che vivano in gruppo, sia che si trovino in una zona del mondo sia che si trovino a migliaia di chilometri di distanza. In altre parole la mucca italiana muggisce nella stessa maniera di quella austriaca o argentina. Gli animali ereditano non solo muscoli e strutture neuronali, ma anche gli schemi di collegamento. Nell’uomo le corde vocali e le interconnessioni nervose non sono legate ad un particolare schema: un bambino allevato in isolamento non imparerebbe a parlare pur avendo la struttura cerebrale di base per farlo.

Altri ritengono che la vera differenza sia la posizione eretta che ha lasciato liberi gli arti anteriori, e che l’uso sofisticato che facciamo delle mani sia elemento determinante nel nostro successo biologico.
Ma anche in questo caso si può osservare che altri animali utilizzano, anche se non in modo esclusivo, gli arti inferiori per muoversi e quelli superiori per “manipolare”. Lo scoiattolo, per esempio, utilizza le dita con molta precisione ed abilità. L’orso spesso deambula utilizzando solo gli arti inferiori.
E’ corretto o è una mera presunzione ritenere che l’uomo sia l’essere più evoluto?
Facciamo un paragone tra il cervello di un neonato umano e quello di un neonato di scimpanzé. Il loro peso è molto simile: circa 300 grammi. Ma il cervello dello scimpanzé appena nato pesa quasi come quello dell’adulto, mentre quello del bambino è appena un quinto del suo peso definitivo.
Più il peso del cervello alla nascita è prossimo a quello dell’animale adulto, più la capacità di funzionare alla nascita è vicina al modo di funzionare dell’animale adulto.
Così, chi nasce con un cervello quasi completo si affaccia alla vita con reazioni preconfezionate agli stimoli esterni e alla maggior parte degli stimoli che probabilmente incontrerà nella vita. Il suo comportamento è di tipo riflesso, fatto di reazioni che, essendo ereditate, sono adatte per stimoli che erano comuni a tutte le precedenti generazioni. Se l’ambiente dovesse cambiare troppo bruscamente queste stessa reazioni riflesse, così come in passato sono state utili alla specie, potrebbero diventare la sua condanna.
E’ questa la sostanziale differenza: il sistema nervoso umano cresce mentre gli stimoli esterni continuano a raggiungerlo e ad agire su di esso, perciò l’ambiente ha sull’uomo un’influenza determinante. La storia individuale fatta di esperienze vissute in prima persona, incide sulle capacità di un soggetto potenziandone le caratteristiche ereditate e riuscendo a ridurre o addirittura annullare, problemi di base. Come dice Feuerstein: gli aspetti genetici non hanno l’ultima parola!
L’uomo è predisposto per apprendere, per modificarsi, per acquisire competenze nuove e complesse, frutto della sua interazione con il mondo. Ciò che uno fa, soprattutto nei primi anni di vita, non solo permette l’acquisizione di competenze specifiche nuove, ma incide in modo determinante sulla struttura stessa del cervello: l’azione crea l’organo.

Dalle osservazioni fatte ne deriva come logica conseguenza che il ruolo dell’adulto come figura di mediazione attiva e propositiva tra ambiente e bambino, sia determinante. La trasmissione della cultura da una generazione all’altra è ben più della proposta di una serie di comportamenti statici, è il processo con cui saperi, valori e pensieri vengono condivisi creando le strutture del pensiero. E’ quella che Feuerstein definisce: Esperienza di Apprendimento Mediato. L’EAM rappresenta un’interazione tra il bambino e l’ambiente. Questa interazione è fortemente marcata dal bisogno di ogni generazione di modellare la struttura del comportamento delle generazioni successive trasmettendo loro il passato, il presente e le future dimensioni della loro cultura.
La trasmissione culturale attraverso le generazioni, è soprattutto una funzione della famiglia ma è anche effettuata, a diversi livelli, da altre istituzioni che rappresentano la società; tra le prime per importanza e per collocazione cronologica nel graduale distacco del bambino dalle figure parentali per la conquista dell’autonomia, si pone la scuola dell’infanzia.