lunedì, febbraio 19, 2007

le basi teoriche del metodo Feuerstein - Partre prima







INTRODUZIONE AL METODO FEUERSTEIN. BASI TEORICHE




I postulati
Un educatore spesso si pone alcuni interrogativi utili ad operare con le persone che gli sono affidate, interrogativi che potrebbero essere così sintetizzati:





  • Qual è la funzione che l’intelligenza copre nell’ambito complessivo del comportamento umano?
    Quale definizione possiamo dare di “intelligenza?”.
    Quali sono le sue origini, cioè: come si crea, quali sono le condizioni che ne causano l’insorgere?
    Che cosa provoca una varietà così ampia di modalità operative, in termini sia qualitativi che quantitativi?



Ma, se optiamo per un approccio interattivo e riteniamo che l’intelligenza sia un processo in continuo movimento, quello che più interessa è l’aspetto operativo: quali sono le condizioni che ne facilitano lo sviluppo ed il potenziamento e quali, al contrario, gli elementi la cui presenza o assenza crea delle barriere al processo di reciproco adattamento tra ambiente e persona?


Il metodo Feuerstein tenta di dare risposte a questi interrogativi. Ritiene che l’intelligenza non sia un tratto immutabile della personalità, ma un elemento passibile di evoluzione, modificabile in senso positivo grazie ad una corretta interazione con l’ambiente. L’intelligenza è caratterizzata dalla plasticità, è “un processo sufficientemente vasto da comprendere un’ampia varietà di fenomeni che hanno in comune gli aspetti dinamici ed i meccanismi dell’adattamento” (Feuerstein, 2003) e può essere definita come: “la propensione di un organismo a modificare se stesso quando si confronta con i bisogni di accomodamento che si vengono a creare in rapporto ai differenti contesti di esperienza” (Feuerstein). Esiste, all’atto pratico, una forte coesione tra risposte autoplastiche, dirette a modificare lo stato interiore dell’individuo e risposte alloplastiche che sono dirette a modificare l’ambiente. Basandosi su questi presupposti, ci si pone come obiettivo il miglioramento della qualità della vita, attraverso il potenziamento delle abilità cognitive e relazionali. Un educatore, secondo Feuerstein, è veramente pronto ad assumere il proprio ruolo quando condivide questi principi:





· Gli esseri umani sono modificabili.
· La persona che sto educando è modificabile.
· IO sono in grado di modificare la persona che sto educando.
· IO stesso posso (e devo) essere modificato.
· La società può (e deve) essere modificata dall'apporto delle singole persone che la compongono.




Feuerstein esplicita le condizioni che permettono la modificazione positiva e fornisce indicazioni riguardanti l’ambiente in cui operare, l’approccio educativo da instaurare, predisponendo esercitazioni pratiche, utili all’individuazione ed al superamento di eventuali carenze cognitive. I concetti di Potenziali e Propensione all’apprendimento, di Modificabilità Cognitiva, di Funzionamento e di Mediazione sono alla base della sua teoria psicologica.
Per Modificabilità Cognitiva si intende la capacità degli esseri umani di cambiare la struttura stessa del loro funzionamento cognitivo con lo scopo di adattarsi alle situazioni che si evolvono nel corso della vita.




La modificabilità non è il semplice riflesso a stimoli esterni o una risposta a cambiamenti interni quali per esempio la crescita: è soprattutto il risultato di una serie di atti volontari e consapevoli che possono e, in alcuni casi devono, essere guidati da una persona esterna. L’organismo umano, esposto ad un’esperienza di apprendimento mediato, è in grado di modificare in maniera stabile il proprio stile cognitivo, cioè le proprie funzioni di base quali, ad esempio, memoria, capacità attentiva, comportamento comparativo; discostandosi in maniera anche significativa dallo sviluppo atteso.
Il Potenziale d’apprendimento è un insieme di comportamenti virtuali latenti che richiedono un certo impegno per essere resi manifesti. Ma la mente umana non si limita ad avere un potenziale latente, comunque precostituito, che può essere reso manifesto; le sue possibilità sono molto maggiori. Attraverso l’operato dell’educatore, possono essere costituite capacità che, da sole, non sarebbero esistite. Le modalità con cui la mente si modifica positivamente costituiscono la Propensione all’apprendimento.
Il funzionamento è la parte di potenziale messa in atto, cioè resa manifesta, osservabile dall’esterno. L’esistenza di un divario tra potenziale e funzionamento è la prassi.
Per Mediazione si intende quell’intervento, intenzionale ed attivo, che l’educatore offre alle persone con cui interagisce con l’obiettivo di sviluppare al meglio le loro potenzialità e di portarle gradatamente a raggiungere un livello di autonomia quanto più possibile piena e completa. E’ l’investimento, l’energia necessaria a trasformare il potenziale in funzionamento ed a creare possibilità nuove d’apprendimento.
Quindi, secondo la teoria della modificabilità e della mediazione, all’origine delle funzioni mentali più elevate troviamo il processo di apprendimento in cui l’interazione tra soggetto ed ambiente attraverso il supporto dell’educatore, è fondamentale. La modalità di interazione tra ambiente-educatore-soggetto è alla base della maggior parte dei cambiamenti strutturali che intervengono nell’apparato cognitivo umano. Il mediatore deve essere in grado di individuare, scegliere, predisporre alcuni degli stimoli che raggiungono il soggetto, in modo tale da farli diventare accessibili alla sua comprensione. Evidentemente il mediatore non si porrà come una barriera tra organismo e mondo esterno, filtrando tutto ciò che dall’ambiente giunge al fanciullo, il suo ruolo è quello di far focalizzare l’attenzione sui dati rilevanti, di individuare gli stimoli che hanno bisogno di adattamento per essere utilizzati nel migliore dei modi, suscitando nel soggetto attenzione, presa di coscienza, consapevolezza. L’adulto aiuta ad organizzare ed ordinare le informazioni; ne regola l’intensità, la frequenza e la sequenza con cui vengono presentate; aiuta ad evidenziare relazioni di tipo temporale, spaziale, causale, facilitando l’acquisizione di strumenti cognitivi ed affettivi che rendano tali processi progressivamente sempre più autonomi ed indipendenti dall’esterno. L’obiettivo finale di un buon mediatore è quello di scomparire, cioè di portare il soggetto a raggiungere un’autonomia tale da non aver più bisogno di essere guidato.

Da Piaget a Feuerstein
Feuerstein è stato allievo e collaboratore di Piaget, da cui ha tratto molti spunti operativi e di cui condivide alcuni assunti di base, ma si è allontanato dal suo pensiero per quanto riguarda alcuni elementi essenziali. Secondo Piaget l’individuo apprende attraverso l’interazione con il mondo: la mente si attiva ed agisce in relazione al numero di stimoli a cui le è data occasione di rispondere, perciò tanto maggiore è la quantità di stimoli cui un organismo è sottoposto, tanto più numerose le risposte, tanto migliore l’opportunità di sviluppo mentale. Feuerstein si domanda, in una situazione di questo genere, quale sia la funzione dell'adulto, il ruolo dell’educatore. Aggiunge, di conseguenza, il valore della figura formativa cui spetta il compito di portare i soggetti al raggiungimento di ben determinati obiettivi; aggiunge, all’atto pratico, il fattore umano.
Un altro punto da cui si discosta da Piaget riguarda il concetto dello sviluppo legato a tappe ben determinate. Piaget ritiene che la mente raggiunga e superi i vari stadi dello sviluppo fino a raggiungere il pensiero formale. Il suo è un approccio in qualche maniera “individualistico” in cui la mente ha un percorso da seguire e questo percorso viene attivato e guidato dall’interno, l’intervento esterno si limita agli stimoli presenti nell’ambiente, l’apprendimento procede “di scoperta in scoperta”, ogni stadio può essere raggiunto solo se quello precedente è stato superato. Esistono “età d’oro” per il passaggio da uno stadio all’altro, età che, seppure ampie ed elastiche, rendono pressoché impossibile il raggiungimento dello stadio successivo se vengono oltrepassate senza aver raggiunto la maturità necessaria (Furth, 1970). Dall’impiego del pensiero piagetiano, seppure sicuramente molto positivo, derivano, però, alcuni problemi. La teoria degli stadi di sviluppo ha posto, a volte, dei freni all’intervento educativo. Si potrebbe sintetizzare il pensiero di fondo in questa maniera: “E’ inutile forzare il naturale sviluppo dell’individuo; se ci sono concetti che hanno bisogno di un determinato livello di pensiero per essere assimilati, è necessario/sufficiente attendere il momento giusto per introdurli.” Questo è uno dei punti su cui più energicamente Feuerstein diverge da Piaget, ritenendo che non ci sia situazione per la quale la mediazione non possa portare aiuto: non è mai troppo tardi per intervenire, gli stadi dello sviluppo non sono né categorici né obbligatoriamente in rigida sequenza (Luria, 1960; Luria 1977). Lo studioso israeliano, in particolare, indaga su come sia possibile ovviare ai ritardi in campo cognitivo, giungendo alla determinazione che la presenza di un buon mediatore può ridurre in modo significativo i disagi che ne conseguono, ma ciò avviene solo se non si aspetta passivamente che il tempo porti i suoi cambiamenti, ma si promuovono tutte le azioni possibili per facilitarne lo sviluppo. Il discorso passa da un principio legato a fattori cronologici e soggettivi di predisposizone, ad uno legato all’acquisizione di competenze. Si è ritenuto per molto tempo che ci fossero numerosi fattori responsabili di capacità intellettive inadeguate. Le cause di ritardo possono essere endogene (ereditarietà, fattori genetici, fattori organici), esogene (livello di maturità, diversità culturale
[1]) o endo-esogene (stimoli ambientali, status socio-economico[2], livello di educazione, equilibrio emotivo di figli e genitori). Secondo Feuerstein la presenza di un approccio educativo vigile ed attivo, che egli chiama Apprendimento Mediato, porta a superare in larga misura le problematiche di partenza conducendo gli individui a raggiungere una qualità della vita anche molto superiore a quanto ci si sarebbe potuti aspettare dalle condizioni oggettive di partenza.


[1] Il discorso della trasmissione culturale è per Feuerstein estremamente importante ed egli ritiene che debba essere valorizzata al massimo la cultura di appartenenza come una ricchezza insostituibile, soprattutto nel caso di inserimento in ambienti diversi dal proprio.
[2] Non è la condizione di povertà a portare automaticamente ad una carenza di mediazione, secondo Feuerstein, ma una ridotta comunicazione tra genitori e figli che può dipendere anche da una delega ad altri del ruolo parentale, frutto a volte, di un eccesso di benessere.