domenica, maggio 15, 2011

Quali sono le pietre miliari del pensiero efficiente?

Come possono i genitori promuovere una maggiore acquisizione di abilità di pensiero attraverso la propria relazione con i figli?

Come possono gli insegnanti utilizzare le proprie attività di insegnamento per favorire lo sviluppo cognitivo? Come possono le abilità di pensiero favorire lo sviluppo di capacità interpersonali, affettive e creative facilitando, di conseguenza, la consapevolezza multiculturale?

Pensiamo al bambino che viene al mondo e deve confrontarsi con l’enorme quantità di stimoli che lo accolgono non appena esce dal tranquillo guscio cui era abituato.
Le sensazioni che colpiscono i suoi sensi non gli vengono presentate né spiegate, non sempre viene guidata l’esplorazione, né facilitata l’individuazione delle relazioni esistenti tra elementi: è possibile che il mondo gli appaia un luogo estremamente confuso, caotico e, a volte, spaventoso. Per un lungo periodo potrebbe provare quello che Feuerstein chiama una “comprensione episodica della realtà”, ossia la percezione di una realtà formata da episodi isolati, separati e senza nessun nesso tra loro. Proprio per superare questo caos l’essere umano cerca di ordinare l’universo organizzando gli oggetti e gli eventi secondo relazioni e regole, ma per farlo occorrono tempo ed energia e l’intervento di un supporto educativo esterno. La figura di un adulto di riferimento è indispensabile affinché vengano acquisite le abilità necessarie a trovare “l’ordine” negli elementi, negli eventi, nelle situazioni con cui il bambino si deve confrontare: quando comincia ad individuare relazioni di causa-effetto, mezzo-fine, concomitanza o coincidenza, può fare i primi passi per prefigurarsi il futuro e, di conseguenza, adeguare il proprio comportamento alle aspettative esterne e/o incidere sull’ambiente per adattarlo alle proprie esigenze.

Tutti gli esseri umani apprendono attraverso due fondamentali strade: l’esposizione diretta agli stimoli e la guida di un mediatore. L’apprendimento mediato, che costituisce un tipo di interazione dinamica, è fondamentale per tutte le persone, almeno in certi momenti, ed è essenziale, soprattutto per chi deve affrontare problematiche specifiche, di qualunque natura siano: organiche, genetiche, ambientali. La mediazione orienta il soggetto a ricercare le connessioni tra l’evento che sta sperimentando ed altre esperienze simili ed a prevedere così le possibili conseguenze del suo operato; lo predispone ad acquisire consapevolezza, abilità, strategie e competenze che gli permetteranno di diventare sempre più autonomo nel diretto apprendimento dagli stimoli.

Il mediatore può intervenire identificando, scegliendo, predisponendo, evidenziando, semplificando o rendendo più complesse, ampliando o riducendo, aggiungendo o togliendo alcuni degli stimoli che raggiungono il bambino a lui affidato, in modo tale da farli diventare accessibili alla sua comprensione. Evidentemente non si porrà come una barriera tra il bambino ed il mondo esterno, filtrando tutto ciò che dall’ambiente giunge al fanciullo, il suo ruolo è proprio quello di individuare gli stimoli che hanno bisogno di essere adattati per renderli da lui utilizzabili nel migliore dei modi, e di focalizzare l’attenzione del bambino stesso sui dati rilevanti, suscitando in lui attenzione,  presa di coscienza, consapevolezza.

L’obiettivo finale di un buon mediatore è quello di scomparire, cioè di portare il soggetto a raggiungere un’autonomia tale da non aver più bisogno di essere guidato dall’esterno.

Ma ci sono alcuni aspetti della vita che sono accessibili solo attraverso l’opera del mediatore il cui intervento è indispensabile per raggiungere mete che costituiscono, contemporaneamente, obiettivi culturali e strumenti per l’acquisizione di abilità cognitive essenziali al buon funzionamento mentale.

Tra questi aspetti uno dei più rilevanti è sicuramente quello legato alla cognizione di tempo


“Rivivere il proprio passato significa rendere più saldo il proprio futuro” (Lurija)

Che cos'è il tempo?  La domanda ha affascinato l'uomo per generazioni e ha dato origine a definizioni mitiche, storiche, filosofiche, psicologiche, biologiche, fisiologiche, atomiche e co-smiche. Potremmo sostenere semplicemente che il tempo è ciò che l'orologio misura. Ma l'orologio con il quale il tempo viene misurato può  essere legato a fattori molto diversi tra loro:  può dipendere dalla rotazione della Terra, o fare riferimento ad aspetti strettamente personali come il battito del polso, o essere misurato sulla base di fattori esterni come lo spessore di un deposito geologico o il prodotto del decadimento radioattivo. Siccome l'uomo si muove al di là della divisione naturalistica del tempo ed esercita un controllo su se stesso e sulla natura, ha creato divisioni artificiali del tempo che non dipendono direttamente da fattori biologici, fisiologici o naturali e che hanno bisogno di essere condivisi e trasmessi. L'uso di intervalli di tempo artificiali e astratti influenza le funzioni cognitive umane in almeno tre modi.                                           

-          Dato che i costrutti che non hanno esistenza concreta e fisica non possono essere manipolati attraverso interventi di tipo motorio, il loro uso sviluppa la rappresentazione, una delle basi fondamentali del pensiero astratto.     

-          La percezione dei cicli e dei ritmi crea una consapevolezza delle leggi che sottostanno agli avvenimenti e stimolano la necessità di scoprire altre generalizzazioni, principi e leggi.          

-          La percezione di sequenze, successioni e ordine temporale incoraggia l'uso del passato e del futuro per governare le attività presenti. Sia gli strumenti astratti che concreti sono creati nel presente per interagire con il futuro.

Una delle più importanti caratteristiche umane è la prontezza a basarsi sul passato per prendere decisioni che riguardano il presente ed il futuro. La trasmissione del passato inizia con una semplice rievocazione e continua progressivamente verso dimensioni temporali più remote.

Il tempo è, in effetti, uno degli elementi più astratti dell'esperienza umana: esiste solo come espressione di relazione fra due unità. Queste unità possono essere due stimoli,  due avvenimenti, oppure due costrutti, può essere perfino che siano completamente separate dall'esperienza. La relazione fra esse può essere descritta come l’intervallo, la durata, oppure la transizione fra un'unità e un'altra in una successione.

A differenza dello spazio, il tempo non ha un’esistenza indipendente, è totalmente privo di supporti materiali o sensoriali. La continuità temporale non è reversibile, noi non possiamo ripercorrere i nostri passi e ricominciare da capo. Quando parliamo del presente questo è già passato. Un riferimento ad un tempo specifico è un riferimento a qualcosa che non esiste ancora o che non esiste più, se non nella memoria. Per rintracciare una relazione temporale è necessaria un'azione di ricostruzione interiorizzata; ed il futuro può solo essere anticipato attraverso una rappresentazione.
La capacità di orientare il proprio pensiero verso il futuro è frutto della nostra capacità di creare collegamenti tra passato e presente. Tutto ciò che è passato e che non sia frutto di un’esperienza personale, non può che giungere a noi attraverso le parole o gli scritti di chi lo ha vissuto; la capacità di ricostruire memorie, inoltre, non è un bene innato. I concetti temporali  rappresentano, pertanto, uno degli aspetti più legati alla funzione educativa del mediatore





La memoria è elemento necessario alla sopravvivenza. Il neurologo Oliver Sachs sostiene che è proprio la memoria a far sì che un organismo si adatti e sopravviva in un ambiente che è in costante evoluzione. La sopravvivenza di ogni organismo dipende dalla sua memoria.

Le  donne ricordano di più.

Il coinvolgimento e la partecipazione contribuiscono a ricordare: si ricordano meglio le cose di cui si è parte attiva, soprattutto se ci sono di mezzo le emozioni.

Alla National Academy of Sciences è stato fatto un esperimento in cui hanno partecipato uomini e donne adulte. E’ stato chiesto alle persone coinvolte nella ricerca di classificare un certo numero di immagini in base al grado di intensità emotiva che provocavano in loro. Nel corso della selezione i soggetti sono stati sottoposti ad una risonanza magnetica al cervello; il flusso del sangue, utilizzato come segno di reazione emotiva, è risultato molto maggiore nelle donne. A settimane di distanza è stato chiesto ai soggetti di riconoscere tra centinaia di foto quelle viste nel corso della classificazione. Ebbene i risultati delle donne sono stati decisamente superiori a quelli degli uomini, confermando l’ipotesi, da tempo sostenuta in vari ambiti sia psicologici che della neurofisiologia, che il coinvolgimento emozionale è determinante per la formazione di memorie profonde e durature.

Se poi il ricordo è legato ad una situazione di apprendimento, cioè se volontariamente predisponiamo la nostra mente a ricordare informazioni che dobbiamo/vogliamo imparare, predisporre il nostro animo a farlo in modo piacevole è uno stratagemma felice e proficuo.



In un testo di antica tradizione ebraica troviamo scritto: “Non si può apprendere in un luogo che è sgradito al cuore”