lunedì, gennaio 31, 2011

“Chi sono io?” Il bambino alla ricerca della propria identità.


Le persone nascono con un’innata propensione al cambiamento: è un processo inevitabile, anche se spesso ne siamo ignari: perfino un adulto può non sentirne la piena responsabilità, i bambini di solito ne sono proprio inconsapevoli.


Nei primi anni di vita, quando l’ "Io" è ancora alla ricerca di se stesso, i bambini, per creare l’immagine di sé, si basano molto su quanto recepiscono dal mondo circostante, in particolare degli adulti significativi. Questo periodo viene definito l’ "Io allo specchio", nel senso che l’ "Io" si struttura su quanto viene letto negli occhi del referente. Se qualcuno vive in un’atmosfera che invia un messaggio implicito o esplicito, di inadeguatezza, crea di sé l’immagine dell’incapace, se, al contrario, percepisce fiducia nelle proprie possibilità, egli stesso creerà un concetto di sé come di persona abile ad ottenere successi. Quando i bambini sviluppano una serie di idee di “come sono” ci si adeguano.


Può succedere che chi si sente inadeguato assuma atteggiamenti di resistenza nei confronti di at-tività nuove, che rifiuti, quindi, proprio le situazioni che promuovono il cambiamento, rimanendo in quella che si potrebbe definire “zona comoda”, in cui il livello di competenza non viene mai mes-so in discussione. All’atto pratico, la “zona di distanza prossimale” è ridotta a zero.


Ogni percorso educativo comporta l’assunzione di qualche rischio.
Non bisogna prefiggersi come obiettivo, per il rinforzo dell’autostima, di guidare una persona a seguire un percorso completamente privo di errori, perché ciò sarebbe fuorviante ed innaturale. Ciò che effettivamente aiuta ad aumentare la fiducia nelle proprie possibilità è il senso di competenza, cioè la consapevolezza di possedere gli strumenti cognitivi ed affettivi necessari ad affrontare e superare le difficoltà.

Incontrare uno scoglio,
incorrere in un errore e riuscire a superarlo fornisce una sensazione di successo molto maggiore che affrontare con facilità un percorso ovvio e poco stimolante.






Mediazione della Coscienza della modificabilità.

Feuerstein attribuisce al concetto di Modificabilità un tale rilievo da considerarlo il primo, fon-damentale postulato della sua teoria. Egli sostiene, infatti, che un educatore entra pienamente nel proprio ruolo quando condivide l’affermazione: “Gli esseri umani sono modificabili in meglio ed io sono in grado di modificarli”. Nella presentazione dei “Criteri della mediazione”, viene dedicato uno spazio particolare a promuovere la trasmissione della coscienza della modificabilità, elemento essenziale per la promozione di uno sviluppo armonico e, soprattutto, autonomo e consapevole.


La coscienza della Modificabilità può essere promossa evidenziando l’esistenza del potenziale dinamico che predispone al cambiamento e sottolineandone l’importanza ed il valore. Può essere paragonata alla capacità di stendere un grafico che riporti i propri successi ed i propri fallimenti. Il grafico disegnato fornisce un’indicazione del percorso che si sta seguendo, riportando le fluttuazioni positive e negative che sono individuali e dipendono dal contesto e dalla propensione personale. I tratti in discesa fanno parte del percorso e sono preliminari a futuri, nuovi progressi.

E’ più facile che una persona utilizzi al meglio le proprie abilità mantenendo i propri progressi, acquisendone di nuovi e trovando energia per superare gli insuccessi se:


 riceve sostegno e incoraggiamento dagli altri
 è consapevole fin dall’inizio che cosa può rendere difficile il lavoro
 si pone obiettivi realistici ma abbastanza complessi, facendo un passo alla volta
 dedica del tempo a godere dei benefici degli obiettivi raggiunti
 è capace di concedersi delle lodi e dei riconoscimenti da solo (non si basa solo sugli altri per notare i progressi e valorizzarli)
 capisce che il fallimento è una parte del processo.
 Vive positivamente i richiami degli adulti, rendendosi conto che non sminuiscono la fiducia che essi ripongono in lui.


Facciamo l’ipotesi di dover richiamare un bambino a causa di un suo comportamento inadeguato o di dover correggere degli errori da lui commessi, come possiamo comunicarglielo senza ferire la sua personalità ed incidere sulla sua autostima?


Innanzi tutto è necessario inviare chiaro e forte il messaggio che si critica un comportamento specifico ma che egli, come persona, viene valutata sempre positivamente. E’ proprio la fiducia che si ripone nella sua capacità di migliorare, nella sua modificabilità positiva, ciò che ci spinge ad intervenire: se non fossimo convinti delle sue potenzialità non cercheremmo di dargli indicazioni.
Esplicitiamo la fiducia che riponiamo in lui e parliamogli delle opportunità che avrà per dimostrarci quanto è bravo, ricordandogli qualche sua precedente attività di cui siamo molto fieri.
Parliamo dei nostri sentimenti, sia quelli negativi, limitati in termini di tempo ed intensità e direttamente provocati dal suo attuale comportamento (tristezza, disappunto, delusione…) sia di quelli positivi, ampi e generali, che sono sempre presenti (affetto, fiducia, aspettative….).


Sentire intorno a se un’atmosfera di accettazione attiva e di fiduciosa aspettativa nei confronti dei suoi futuri cambiamenti lo aiuterà a “mettersi in gioco” di fronte ai rischi che un percorso complesso inevitabilmente comporta.


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