sabato, marzo 01, 2008

La percezione della precarietà e il sentimento di inadeguatezza

Trenta anni fa il sociologo Achille Ardigò riassumeva la sua analisi sulla condizione giovanile in questo modo:”…una popolazione giovanile marginale e marginalizzata, bloccata in una condizione di adolescenza prolungata e quindi alla ricerca disperata di un rapporto con la società adulta, in bilico tra aggressività, distruttività e dipendenza”.
Trent’anni fa era il 1977, l’anno di autonomia operaia, degli indiani metropolitani e del movimento punk, della contemporanea esplosione della violenza politica e della cultura dell’autoesclusione spinta fino all’autolesionismo. Le grandi trasformazioni strutturali in atto nelle società contemporanee hanno e stanno mutando la condizione giovanile nella direzione descritta da Ardigò, già evidente negli anni settanta: il rallentamento del passaggio alla condizione adulta, uno stato di marginalità economica e politica connesso anche alla flessione dei tassi di natalità, la crisi delle principali agenzie educative e del lavoro stabile.
Nell’immagine del futuro dei giovani regna una grande incertezza: vivono più a lungo nella famiglia dei genitori, l’inserimento lavorativo stabile con una retribuzione che consenta l’indipendenza economica si sposta sempre più avanti nel tempo, la disponibilità di case in affitto con canoni accessibili è tra le più basse in Europa.
L’adolescenza è sempre stata un'età difficile, sospesa tra il non essere più bambini e il non essere ancora adulti, viene prima anticipata dalle spinte del mondo adulto a bruciare le tappe e ad accelerare la fuoruscita dall’infanzia e poi prolungata determinando un lunghissimo periodo di deresponsabilizzazione e di appiattimento sul presente.

Infatti il Novecento si chiude con una nuova immagine dei bambini:




  • · competenti sul piano cognitivo, fisico ed emotivo;
    · attivi e intenzionali, straordinariamente aperte all’apprendimento, con una gamma incredibile di potenzialità e di percorsi;
    · creative, ben più degli adulti, con linguaggi non verbali;
    · flessibili con grande capacità di adattamento all’ambiente.




Ma sono anche presentati come latori di conoscenza inespressa in quanto:

  • · non sanno far conoscere il loro mondo con il linguaggio verbale e scritto;
    · una visione adultocentrica li rende soggetti ad interpretazioni arbitrarie ed erronee;
    · non hanno sufficiente conoscenza di se stessi e soprattutto non sanno esprimerla nei codici “adulti”;
    · non hanno sufficiente conoscenza del mondo adulto;
    · vivono gli umori degli adulti che non danno loro un programma, un’idea di ciò che accadrà e quindi si sentono in uno stato di precarietà emotiva.

Il disagio giovanile odierno è anche caratterizzato dal crescente divario tra spinte potenti e devastanti provenienti dall’industria del consumo e le difficoltà a contenerle e regolarle da parte della famiglia e della scuola.
Una genitorialità debole e insicura, in cui la necessaria asimmetria del rapporto educativo è attenuata da modelli giovanilistici in cui i genitori tendono a imitare i figli, non è in grado di proporre valori alternativi a quelli consumistici centrati sulla soddisfazione immediata, il successo a buon mercato, sulla competitività come vittoria a tutti i costi.
Secondo Charmet il risultato di questa situazione è di essere di fronte a una dilagante e preoccupante mancanza di culture delle regole, a “ragazzi sregolati”, figli di un familismo amorale, protettivo ma incapace di formare l’etica pubblica.
Anche la scuola è sempre più percepita dai giovani come un mondo altro, privo di credibilità e autorevolezza: quando la scuola continua a perpetuare modelli educativi fondati esclusivamente sulla mera trasmissione di contenuti non può suscitare nei giovani interesse e motivazione.
A tale proposito, è necessario evidenziare che “l’elevato volume di fallimento scolastico mostra il deterioramento dell’investimento pubblico nei sistemi educativi, e la precarizzazione della vita sociale in generale, che si traduce anche nella riduzione delle opportunità scolari per ampie fasce della popolazione operaia”( Zygmunt Bauman)

La condizione giovanile oggi è contrassegnata dalla fatica di immaginare il futuro,


(“il futuro, rispetto al passato, contiene una differenza qualitativa che si esprime nel concetto di creatività, di cui il passato è completamente privo. Vivere il futuro come il passato significa aver perso ogni elemento creativo, ogni possibilità di progetto. Con la chiusura del futuro, oltre al desiderio si estingue anche la speranza, “che fonda e rende possibile la vita come orizzonte che si apre e dischiude. Si aggiunge cosi il sentimento d’impotenza, ovvero quello che comunemente e fisiologicamente accompagna la vecchiaia: la consapevolezza di non essere in grado di seguire il ritmo espansivo della vita e di vedere l’avvenire come un rapido incamminarsi verso la morte” Zygmunt Bauman- Wasted Lives. Modernity and its Outcasts, 2005)
dal prevalere degli aspetti di incertezza e precarietà, dall’impossibilità di elaborare obiettivi di lungo temine, dalla relazione con agenzie educative deboli e in crisi.
La tecnologia digitale, ha di fatto portato l’uomo in un altro ambiente, quello stesso ambiente nel quale stiamo muovendo i primi passi. Nulla è più come prima, secondo il sociologo Manuel Castells: “Il nostro mondo e le nostre vite sono soggetti all’azione plasmante di due forze in contrasto tra loro: globalizzazione e identità. (L’identità locale rischia di scomparire in un mondo globale fortemente interconnesso e i singoli soggetti possono vivere una precarietà emotiva, sensazione di non riuscire a tenere insieme tutto). La rivoluzione della information technology e la ristrutturazione capitalista hanno dato origine ad una nuova forma di società – la società in rete – caratterizzata dalla globalizzazione delle attività economiche strategiche; dalla forma di organizzazione a rete; da flessibilità, precarietà e individualizzazione del lavoro; da una cultura della virtualità reale costruita da un sistema dei media pervasivo, interconnesso e diversificato; e dalla trasformazione dei fondamenti materiali della vita, dello spazio e del tempo, mediante la costituzione di un tempo acrono.” (Manuel Castells, Il potere delle identità, EGEA Università Bocconi Editori, 2003). (esempio di “Second life”, gioco sul web).
Ad un lavoratore del nuovo mercato globale sono richiesti dei requisiti di personalità fondamentali per la sua sopravvivenza lavorativa e per la sua carriera: l’adattabilità e la flessibilità. Richard Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale , Feltrinelli, 1999: “la flessibilità - scrive - indica sia la capacità dell’albero di resistere ad una forza, sia quella di tornare alla situazione precedente. Dal punto di vista ideale, il comportamento umano dovrebbe avere le stesse caratteristiche: sapersi adattare al mutare della circostanze senza farsi spezzare.” Flessibilità e adattabilità a prima vista fanno pensare alla capacità d’apertura al cambiamento, alla libertà di agire e di scegliere seguendo la propria indole; in realtà rappresentano risposte a situazioni in cui si rischia di rimanere in balia degli eventi, dovuti, in questo caso, alla precarietà della realtà lavorativa. Diventa necessario essere flessibili ed adattabili, non per proprio piacere, ma per la sopravvivenza del proprio impiego. “Questa condizione di precarizzazione, di rischio e d’incertezza che investe ogni forma di lavoro e dentro cui - citando Bauman - anche la posizione più privilegiata può rivelarsi meramente temporanea e fino ad ulteriore comunicazione” conduce a sentimenti dove “l’angoscia abbandonica, d’insicurezza strutturale e la disseminazione di paure fondano l’insorgere di un malessere senza nome, proteiforme, volubile e variabile rispetto a cui anche l’ottimismo farmacologico più aggressivo è costretto a cedere le armi.” “La vera perdita non è tanto la perdita del denaro o altro, ma la perdita della possibilità di fare esperienza, cioè di non essere al mondo nella modalità umana della trascendenza, che da un passato rinvia a quel futuro autentico che ha i caratteri dell’e-vento e non del già avvenuto.”


Adattabilità: flessibilità ottenuta attraverso la modificazione personale e la divergenza da canali predefiniti di pensiero e comunicazione.

Identità: qualità e attributi a cui ci si ispira, modello che si vorrebbe essere. La componente cognitiva di ciò è la LIBERA SCELTA del modello di identificazione.
Continuum bipolare che spazia tra la tendenza ad ESSERE (mantenere i valori, lo stile di vita e il comportamento esistenti) e la tendenza a DIVENTARE (sviluppare, cambiare, allontanarsi dal solo esisitere).
Tale conflitto riguarda la tendenza all’integrazione o alla differenziazione.
Una cultura statica, che riflette rigidità, può essere incapace di rispondere ai bisogni, sia sociali che individuali. D’altro canto, una cultura improntata su continui cambiamenti riflette discontinuità e l’individuo diventa disorientato e incapace di interiorizzare sistemi o codici di comportamento.
Quale cultura?
cultura della sopravvivenza: qui ed ora
cultura della trascendenza: trasmette alle generazioni future un consistente sistema di valori. Cioè STABILITA’ che genera il processo di identificazione. La classica famiglia tradizionale media una percezione “storica” della vita. La famiglia moderna invece è caratterizzata dal permissivismo e convoglia un messaggio di egocentrismo attraverso l’enfatizzazione dell’autogratificazione. L’individuo oggi è esposto ad un’ampia gamma di stimoli di cui non controlla l’assorbimento, l’elaborazione, l’impatto.
Il ruolo della mediazione comporta la disponibilità a proiettare la propria esistenza e consiste nello sviluppare le capacità generali di adattamento individuale. Queste comprendono l’apprendimento cognitivo, il potenziamento dell’intelletto, sviluppando in contemporanea il controllo emotivo e i modelli di interazione sociale, così come la padronanza del mondo intorno a noi (spesso lo subiamo).

Trascendenza: dal qui e ora verso obiettivi remoti nel tempo e nello spazio. Il più alto significato della trascendenza è la qualità del pensiero che permette all’individuo di adattarsi ai continui cambiamenti dell’ambiente.
Sentimento di competenza: necessario perché il senso di appartenenza alla collettività è debole, manca la mediazione del significato data dal gruppo e l’individuo si sente senza radici, senza modelli, senza “contenitore”.
Quando la ricerca del significato di ciò che facciamo e di chi siamo è carente, la spinta motivazionale risulta priva della componente energetica, emotiva ed affettiva.
Ricerca, scelta e conseguimento di uno scopo:
M. Minuto: “…il mediatore amplifica e rinforza il senso di competenza…attraverso l’incoraggiamento della ricerca, della scelta e del conseguimento di uno scopo.”
Coinvolge principi organizzativi e la mobilitazione dei mezzi per raggiungere lo scopo prefissato. Vivere senza scopi si manifesta nel bisogno di gratificazioni immediate e nell’incapacità di rimandare la gratificazione per uno scopo più lontano. L’abilità di pianificare e investire nel futuro non è limitata solo alla propria vita, ma piuttosto al valore trascendente degli obiettivi, dei piani e delle azioni quotidiane per completarli. (Storia del vecchio, dell’imperatore e dell’albero da frutto).
Jael Kopciowski: ”…il mediatore guida il soggetto attraverso il processo necessario a predisporre, pianificare e raggiungere una meta, rendendolo esplicito, individuando gli obiettivi da scegliere, discutendo su quali siano le strategie più efficaci per raggiungerle… I ragazzi le cui richieste sono soddisfatte subito se non anticipate, i ragazzi che vivono in un ambiente deprivato, non ritengono valido impegnarsi oggi per ottenere un ipotetico risultato in futuro. Bisogna aiutarli a raggiungere un maggiore livello di autostima, autonomia di lavoro, strategie di apprendimento efficaci, e soprattutto bisogna trasmettere loro la fiducia in un futuro che dipende dal loro personale intervento.”
Regole di comportamento:

mediare la regolazione del comportamento crea la flessibilità e la plasticità necessarie per modificare l’individuo sia verso l’inibizione che verso l’attivazione, attraverso l’autoriflessione. Si creano i prerequisiti cognitivi per incoraggiare l’individuo ad adottare un comportamento ragionato. (Regole per conoscere il mondo, per non subirlo).
(da “Biblical and Talmudic antecedents of Mediated Learning Experience theory”- S. Feuerstein)

La pratica di una o più attività sportive, entro le quali i ragazzi si sentano accolti e dalla quale traggano benessere, non solo incide profondamente nello sviluppo della personalità, ma anche nella determinazione di un futuro stile di vita. Innanzitutto ci sono le regole da rispettare, sia riguardo alla conduzione dello sport, sia riguardo al gruppo, poi c’è la condivisione.
Condividere un’esperienza significa tante cose: sicurezza, dare una valenza positiva agli errori, avere un ruolo ben definito, controllo dell’impulsività, capire i propri limiti, imparare a rispettare quelli altrui, anticipare l’agire proprio e altrui, sentire di appartenere ad un gruppo che ha obiettivi condivisi, imparare a capire e ascoltare gli altri, imparare dagli altri…
La condivisione è una necessità fortemente sentita fin dalla prima infanzia che veicola anche la flessibilità all’interno dei rapporti sociali.




Paola Tedeschi
Laureata in Scienze Naturali e diplomata come Assistente Minori Disabili. Mediatrice e applicatrice del Programma di Arricchimento Strumentale Feuerstein. Napoletana, si è dedicata ad attività di prevenzione del disagio nella sua città. Attualmente segue un progetto in una scuola media finanziato dalla Provincia di Napoli per la prevenzione della fuoriuscita dai percorsi scolastici e del disagio degli adolescenti.